Oggi ho visto un bambino che parlava da solo.
Aggrottava le sopracciglia, sorrideva, pronunciava qualche parola a bassa voce. Faceva tutto questo e lo faceva credendoci. Non lo faceva abbozzando qualche cambio di espressione qua e là, lo faceva in modo visibile e senza nascondersi, come invece farebbe qualcuno che viene sorpreso in un momento del genere. A chi non capita di esprimere ad alta voce un pensiero che sta attraversando la propria mente per poi accorgersi di essere stati visti o sentiti con la conseguenza di sentirsi inappropriati?
Lui no. Lui camminava per strada da solo, senza sentirsi solo.
Chiunque a primo impatto avrebbe aggrottato a sua volta il sopracciglio, confuso. E non nego di averlo fatto anch'io in un primo momento. Mi è venuto da pensare: "Capisco un adulto, ma perché un bambino dovrebbe voler esprimere i suoi pensieri visibilmente, senza pensarci?". Dopo due secondi, mi sono ricreduta. In realtà è più buffo sapere di un adulto che lo fa, anche se lo facciamo tutti e magari non lo ammettiamo.
E allora mi è venuto in mente che magari stava chiacchierando con il suo amico immaginario.
Quanti di noi in fin dei conti l'hanno avuto? Magari avevano nomi assurdi, magari ne cambiavamo uno ogni giorno o magari era uno ed era fedele. Ma ad ogni nostro dubbio, domanda, paura era lì, a consolarci: il nostro inconscio che dava risposte senza chiedere nulla in cambio, travestito da compagno di giochi, da pupazzo, da Barbie, da animaletto e nutrito dai nostri quesiti e dalla nostra inevitabile paura di crescere.
Mi sono ritrovata a sorridere, sentendomi in completa sintonia con quel bambino che parlava da solo. Mi sono ritrovata a riflettere e a pensare che, in fondo, quegli amici immaginari non ci hanno mai, veramente lasciati.
Non ci hanno mai lasciati soli. Nemmeno per un istante.